Dopo anni di sperimentazione, prende ufficialmente forma Pholià – Asset Incubator, un progetto innovativo fondato a Milano il 10 marzo con l’obiettivo di rilanciare una parte fondamentale ma trascurata dell’ecosistema dell’innovazione: gli asset delle startup non riuscite.
A differenza di incubatori e acceleratori tradizionali, Pholià punta su un modello sostenibile e rigenerativo, orientato al recupero di valore tecnologico e intellettuale da progetti che non sono riusciti a esprimere il loro potenziale.
Startup o Asset? Una sfida culturale ed economica
Negli ultimi dieci anni, le startup sono state considerate il motore dell’innovazione tecnologica e dell’imprenditoria ad alto rischio. Tuttavia, secondo il Global Startup Ecosystem Report 2024 di Startup Genome, solo l’8% delle startup innovative supera i 18 mesi di vita. Il restante 92% si traduce in un’enorme dispersione di capitale, know-how e asset aziendali potenzialmente ancora utili.
Si stima che ogni anno, in Italia, circa 96 milioni di euro di investimenti in asset tecnologici non valorizzati vengano persi. Parliamo di software, prototipi hardware, proprietà intellettuali e competenze che, se opportunamente recuperate, potrebbero generare ancora grande valore.
Pholià: il primo incubatore di asset d’impresa
Pholià nasce con una missione chiara: recuperare, proteggere e rilanciare gli asset sottoutilizzati delle startup fallite, reintroducendoli nel mercato tramite un processo intelligente e cooperativo.
A differenza degli acceleratori tradizionali, Pholià distribuisce il rischio imprenditoriale lungo tutta la filiera: ideatori, sviluppatori, imprenditori, investitori pubblici e privati lavorano in sinergia, supportati da un motore proprietario di intelligenza artificiale basato su agenti cooperanti, in grado di suggerire strategie operative e orchestrare il percorso di valorizzazione.
Un modello alternativo e più sostenibile
Grazie a questa struttura, il modello Pholià offre un rapporto più favorevole tra capitale investito e probabilità di successo rispetto alle strutture convenzionali. L’approccio non solo abbraccia i principi dell’economia circolare, ma propone anche un modo concreto per affrontare la dispersione di capitale intellettuale e tecnologico.
Un’idea nata dall’esperienza sul campo
A ideare il progetto è Giorgio Manfredi, imprenditore seriale con una lunga carriera nella data science e in ambito corporate:
“Mi sono reso conto che la maggior parte delle innovazioni non falliscono per mancanza di qualità, ma per problemi di go-to-market, gestione o team. Ho voluto costruire un modello che recuperasse e rigenerasse quegli asset, dando loro una seconda vita, e avvicinando davvero l’innovazione al concetto di economia circolare”.
Un network già attivo e in crescita
Pholià non è solo un’idea: è già realtà.
- 5 progetti sono già stati trasformati in nuove startup
- 40 asset sono attualmente in fase di sviluppo
- 50 professionisti sono coinvolti nella rete
- Il modello è pronto per l’internazionalizzazione
Conclusioni
Pholià si propone come un nuovo protagonista dell’open innovation in Italia, capace di recuperare valore dove altri vedono fallimento. È una risposta concreta alla fragilità strutturale del sistema startup, un’evoluzione necessaria per un’innovazione più sostenibile, circolare e inclusiva.
Un progetto che guarda avanti, ma che parte da ciò che spesso viene lasciato indietro.